Dopo il 3-3 dell'andata a Reykjavik, il KR non riesce a ribaltare il risultato a Zurigo e dice addio all'Europa. Lo fa con una prestazione generosa contro un avversario decisamente più forte sulla carta, ma che nell'arco dei 180' ha traballato più volte.
Il Grasshoppers, forte dei suoi ventisette titoli nazionali e diciannove coppe, è la squadra più titolata di Svizzera. L'ultimo campionato vinto in realtà risale alla stagione 2000-2001 e la sua stella è offuscata dall'arrembante Basilea, ma la rosa è di tutto rispetto ed è capitanata da una vecchia conoscenza del calcio scandinavo: lo svedese Kim Källström.
Runar Mar Sigurjonsson, qui in azione nella partita di andata, è stato decisivo per il passaggio del turno (visir.is)
Il KR era l'ultima squadra islandese ad essere in corsa per le coppe europee e, come nelle migliori tragedie, il destino ci ha messo lo zampino per farsi beffe degli astanti. Il Grasshopper infatti vince 2-1 con doppietta dell'islandese Rúnar Már Sigurjónsson.
Nel primo tempo il risultato non è mai stato in bilico. Gli svizzeri si sono lanciati in avanti, solo la sfortuna e alcuni interventi di Magnusson hanno evitato un passivo peggiore dell'1-0 al KR, bloccato nella propria metà campo.
Nel secondo tempo gli uomini di Willum þór þórsson prendono coraggio e al 51' raggiungono il pareggio con Morten Beck, bravo a finalizzare una grande azione manovrata da Kennie Choppart sulla fascia destra. Pochi minuti più tardi Hauksson sfiora il clamoroso vantaggio con una splendida rovesciata da fuori area, deviata in angolo dal portiere Mall. E' l'unico momento in cui il risultato è in fibrillazione. Il KR allarga le maglie e offre il fianco al contropiede svizzero. Prima Munsy fallisce clamorosamente solo davanti a Magnusson, poco più tardi Sigurjonsson non perdona.
Cala il sipario sull'esperienza europea delle squadre islandesi, una delle più brevi degli ultimi anni. Il KR è l'unica squadra ad aver passato un turno e ad essersi arresa con onore. Sulle altre prestazioni era lecito aspettarsi qualcosa di più.
Quanto manca per abbattere l'ultimo tabù, quello della partecipazione di una squadra islandese nella fase a gironi di una manifestazione europea per club?
Vedendo questi risultati, serviranno ancora parecchi anni. Non ci sono squadre professionistiche in Islanda. La maggior parte sono polisportive dove il calcio è solo una delle tante attività praticate. Non ci sono bilanci sostanziosi a disposizione. L'FH ha investito pesantemente per andare avanti in Europa, il mancato passaggio del turno causa un mancato guadagno di 1,2 milioni di euro (anche perdendo al turno successivo, sarebbe andato ai preliminari di Europa League) che imporrà un ridimensionamento della rosa.
Ad inizio campionato avevamo osservato come il campionato avesse perso alcuni dei suoi protagonisti più importanti e i giovani più interessanti. Guardando la classifica compatta è facile intuire che ci sia stato un livellamento verso il basso. La soluzione? Semplice: soldi.
Non si può dire che le società islandesi manchino di qualità: in rapporto al numero di praticanti, sfornano la più alta percentuale di giocatori professionisti d'Europa. Gli scout delle società, che spesso sono gli stessi allenatori reduci da esperienze all'estero, riescono a pescare talenti stranieri nei campionati più improbabili. Il problema è riuscire a trattenerli.
Essendo il seguito del calcio islandese molto limitato, è difficile che grossi sponsor ne vengano attirati o decidano di investirci grosse cifre. Si può sperare in qualche magnate locale, ma di solito questi preferiscono portare i loro soldi a Panama o dintorni.
E' probabile che la situazione rimanga tale per gli anni a venire e questo necessariamente non è un dispiacere. Le società islandesi continueranno ad assolvere la loro funzione sociale che ahimé molte squadre in Italia, anche fra i dilettanti, hanno perso. Il campionato continuerà ad essere combattuto, nel senso fisico della parola, e scevro dai meccanismi del calcio business. Il dazio da pagare è lo stress da pagare ad ogni maledetto turno europeo.
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