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venerdì 28 ottobre 2016

Islanda, la Storia. Capitolo V: Ascesa del libero stato islandese (999-1208)

L'inizio del nuovo millennio, per una serie di circostanze, è uno dei periodi più floridi per la giovane colonia islandese. E' collocato fra la conversione ufficiale dell'Islanda al cristianesimo, del 999, e la battaglia di Víðines, del 1208, che segna in maniera netta l'inizio degli scontri fra le famiglie dell'isola e di quest'ultime con il clero locale.

La conversione al cristianesimo, che abbiamo visto nel capitolo precedente, apre all'Islanda le porte del continente dove si reca il clero locale per la propria formazione. Nel XII secolo l'alfabeto viene introdotto nell'isola dando il là allo sviluppo di una cultura islandese, di cui le famose saghe sono la massima espressione.

La popolazione islandese assiste ad una seduta dell'Alþingi, a Þingvellir (olio su tela del XIX secolo)

Questo periodo coincide anche con il "periodo caldo medievale" vale a dire l'intervallo di tempo in cui, fra il IX ed il XIV secolo, le temperature della regione nordatlantica erano inusualmente più alte della media. L'economia locale, prevalentemente basata sull'allevamento, ne giovò parecchio.

Infine la Norvegia, di cui l'Islanda era ancora un possedimento, è impegnata nelle sue campagne europee. La colonia gode di un'autonomia pressoché totale, da cui scaturisce un'originale forma di "non governo". Nel prossimo capitolo vedremo come questa anarchia organizzata porterà l'Islanda alla guerra civile, perdendo la sua autonomia ed iniziando ad essere merce di scambio fra le corone scandinave.

Questo è probabilmente uno dei momenti migliori per il “Commonwealth Islandese”. L’economia è in costante espansione, le mete dei commercianti islandesi sono soprattutto la Gran Bretagna, la Norvegia e l’Irlanda e, grazie agli scambi commerciali, pure la popolazione diventa più variegata. Il ceppo dominante rimane sempre quello degli esuli norvegesi, ma a questi si aggiungono anche Danesi, Svedesi, Sassoni, persino fiamminghi e soprattutto una consistente colonia di celti. 

L’economia islandese si basa soprattutto sull’allevamento estensivo (bovini e ovini), la pesca (salmoni, trote, merluzzi e aringhe), la caccia (alle foche e alle balene). Il clima inadatto e una terra inospitale non permettono grandi colture né sono presenti grandi foreste, per questo motivo le importazioni consistono soprattutto in grano e legname. A questi si aggiunge il ferro e, per chi poteva permetterselo, anche vino, abiti di seta e oggetti d’arte.

Le costruzioni in torba di Keldur, semi interrate, sono un esempio di fattoria molto diffuso del periodo. La fattoria di Keldur è una meta molto famosa nonché sede di un famoso personaggio della Saga di Njals ( guidetoiceland.is)

In questi due secoli sparì anche ogni forma di schiavitù, benché non venga mai ufficialmente abolita. I sovrani norvegesi inoltre sono impegnati costantemente su più fronti (inglese, danese e svedese) e, al di là dei contatti di natura commerciale, non hanno tempo per curarsi dell’Islanda la quale continua a beneficiare di uno status di pressoché totale autonomia amministrativa.

L’economo David Friedman, figlio del premio Nobel Milton, utilizzò questi due secoli di “Commonwealth Islandese” per esplicare la sua teoria di anarco-capitalismo. Secondo lui infatti l’Alþingi era più una camera di commercio che un parlamento atto a legiferare e la totale assenza di un corpo burocratico-amministrativo lasciava nelle mani degli islandesi tutte le prerogative di un’autogestione della loro società.

Ciò ovviamente non giovava alla quiete pubblica dell’Islanda. Il concetto di “pace” in quel periodo era relativo. Fin dal principio della colonizzazione, la società che si creò aveva dei connotati abbastanza violenti. Le persone giravano abitualmente armate e non si facevano molti problemi ad usarle. Una forte e ampia concezione dell’onore che andava dalla sfera familiare, a quella degli affari passando per gli interessi politici, faceva sì che le dispute e i litigi fossero all’ordine del giorno. Non di rado ci scappava il morto e ciò generava regolamenti di conti e faide che spesso coinvolgevano intere famiglie.

Dettaglio della Saga di Njal, nella cui storia è implicato il pagamento di un guidrigildo sostanzioso (wikiwand.com)

Da contrappeso fungevano gli interventi di altri caporioni esterni alla faida, ma soprattutto due istituti come il guidrigildo e l’esilio. Tramite il guidrigildo, la famiglia della persone uccisa aveva diritto al rimborso di una somma che era tanto più elevata tanto più alto era il censo della vittima e aveva la funzione di dirimere definitivamente una faida. L’esilio invece poteva essere a scadenza, come era stato nel caso di Erik il Rosso, o anche permanente a seconda dell’efferatezza del reato.

Nonostante questi deterrenti col passare del tempo l’autogestione non bastò più a gestire i vari regolamenti di conti e vi fu un’escalation di violenza che caratterizzò buona parte del XIII secolo. Questa situazione si accentuò dopo che il potere venne circoscritto da poche famiglie, basti pensare che nel 1220 ben l’80% del territorio era controllato da sole cinque famiglie.

Si accentuarono le rivalità fra le diverse fazioni che cominciarono a scontrarsi sempre più spesso, facendo precipitare l'Islanda nella guerra civile. Non solo, le lotte per il potere erano inasprite dalle interconnessioni che i clan avevano con la struttura ecclesiastica. Anche la Chiesa Islandese infatti fu coinvolta in prima persona: avere della propria parte il vescovo di una delle due diocesi spesso poteva risultare decisivo. Fu proprio un dissidio fra un goði e il vescovo di Hòlar a dare il fuoco alle polveri nel 1208.

Fabio Quartino
Università degli Studi di Genova, 2009
&
Nordicum-Mediterraneum
Icelandic E-Journal of Nordic and Mediterranean Studies

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